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Archeologia

Archeologia

Carros

Di notevole interesse archeologico, anche se finora poco esplorata, è la zona che si estende fra i monti di Oliena, Dorgali e Urzulei. Appena inizia la salita che dalla sorgente "Su Gologone" porta alla valle di Lanaitto, si incontrano lungo la strada numerose rocce che emergono dalla fitta vegetazione.
Paiono figure silenziose, mostri preistorici, posti a guardia del sentiero. Facilmente un uomo vi si può occultare e seguire i movimenti di chi volesse avventurarsi sulla montagna.
Probabilmente dietro quelle rocce si celavano gli arcieri nuragici pronti a scagliare le loro frecce contro gli invasori che avessero osato spingersi fin lassù.
Lungo la strada si scorge il villaggio nuragico "Su Gurruthone", di cui restano ancora visibili tracce.
E' situato in posizione strategica, per impedire l'accesso alla valle.
Ancora qualche chilometro, ed ecco la valle, lunga e stretta, leggermente semicircolare, fiancheggiata da montagne le cui pareti calcaree, quasi prive di vegetazione, scendono a picco, in molti tratti levigate, cangianti a seconda della luce che le colpisce.
Nella valle, ora parzialmente coltivata, la vegetazione è spontanea, con sottobosco ricco di rosmarini e lentischi. Fra i lecci, qua e là, qualche contorto ginepro. In fondo si erge il massiccio conico del monte Tiscali. Proseguendo per un sentiero a destra giungi alla grotta "Sa Oche". Ci si trova d'improvviso davanti all'ingresso maestoso imponente. Enormi massi stanno all'entrata.
Di lì si snoda un alveo grigio chiaro, asciutto. Superato l'alveo ecco Carros.
Non é facile leggere sotto le macerie di un villaggio che la polvere di almeno due millenni ricopre. Eppure, osservando quella polvere, si intuisce l'ottimo stato di conservazione delle costruzioni.
Non é facile risvegliare una città morta e riportare alla luce civiltà sepolte, dimenticate da secoli. Eppure questo villaggio assai vasto e imponente, quando verrà dissepolto, potrà aggiungere una nuova pagina alla preistoria sarda.
Le sue tombe, purtroppo violate da tempo, conservano solo i frammenti delle suppellettili che un tempo le ornavano.
Ma entro i nuraghi, della maggior parte dei quali affiora appena la cupola, potrebbero celarsi oggetti e utensili tali da completare le scarse conoscenze che abbiamo sui costumi delle popolazioni nuragiche che abitarono la Barbagia.
La coltre di terra spessa due metri un giorno verrà rimossa e porterà alla luce un villaggio di vastissime proporzioni, forse il più vasto della Sardegna, e senza dubbio il più interessante dal punto di vista archeologico, anche perché situato in una zona finora inesplorata e per molti addirittura sconosciuta, pur essendo i nuraghi raggruppati con la stessa densità che si riscontra nella Marmilla (0,60 per Kmq.)
Ecco le prime tracce di costruzioni, quasi tutte circolari.
Le si ravvisa dalla caratteristica forma che assume la vegetazione cresciuta sulla sommità delle capanne. Ve ne sono dappertutto, raggruppate e sparse, delimitate fra l'alveo del ruscello e la liscia parete della montagna, barriera protettiva naturale.
Enormi blocchi scendono in leggero declivio, lastroni levigati dal vento e dalla pioggia, ottimo materiale calcareo, facile da tagliare e da sovrapporre.
Tutte le costruzioni sono infatti in blocchi calcarei. Risultano invece trasportati, quasi certamente dal vicino altopiano di Gullei, i blocchi in basalto, lavorati con la caratteristica forma a T, alcuni dei quali abbozzano la testa del toro. Altri, forse sedili, presentano scanalature arrotondate.
Uno, abbastanza grande a giudicare dalla parte residua portata alla luce, dovrebbe far parte di un piano rotondo, perfettamente lavorato.
Si trattava forse di un piano d'appoggio che serviva durante la lavorazione dei metalli.
Resistono ancora muri di recinzione, anch'essi di tipo nuragico. Il villaggio é in pendio, digradante verso il letto del ruscello. La barriera protettiva delle montagne, la valle di Lanaitto adatta per i pascoli e ricca di selvaggina, il clima mite, costituivano l'ambiente ideale per gli abitanti di Carros.
Nella parte superiore del villaggio sorge un'officina fusoria, ancora in buone condizioni. Meglio di altre finora rinvenute in Sardegna ci dà l'idea di come i nuragici lavorassero i metalli. E che si tratti di una officina fusoria é fuor di dubbio, a giudicare dall'enorme quantità di oggetti in bronzo in essa rinvenuti. Oggetti difettosi, da rifondere, lamine e pani di bronzo. Servivano probabilmente per nuove armi e nuovi utensili.
Date le proporzioni dell'officina, questa non serviva solo al fabbisogno di Carros, ma doveva fornire anche i vicini centri di Gurruthone, Sòvana, Duavidda, Biriai, Serra Orrios e i villaggi di Gullei. L'officina si compone di un cortile fornito di cinque ingressi, di tre vani circolari, adiacenti e comunicanti e di un vano stretto ed allungato che probabilmente fungeva da passaggio. Dal cortile si diparte un condotto largo 60 cm. e profondo 70, coperto con lastre calcaree. Il condotto si interrompe in vari punti, ma seguendone il tragitto porta fino ad una piccola grotta naturale. Era una presa d'aria necessaria al forno per un maggior tiraggio? E' molto probabile, essendo il condotto troppo stretto per essere adibito a passaggio sotterraneo.
In seguito ad alcuni scavi non autorizzati, eseguiti frettolosamente, fu rinvenuto nell'officina un gran numero di oggetti in bronzo e di scorie metalliche.
Dalla relazione della Soprintendenza alle Antichità risulta:
"...un gran numero di asce a margini rialzati, punte di lancia, cannoni di lancia, fascette bronzee di legamento e rinforzi per lance, pugnali, braccialetti, spilloni, punteruoli, alcuni dei quali con immanicatura d'osso, anelli di varie dimensioni, attacchi di recipienti bronzei, modellini di barchette, corna cervine e bovine, attacchi e basi di bronzetti, il tutto frammentario o presentante difetti di fusione; ed inoltre una enorme quantità di frammenti di verga e lamina bronzea di incerto riferimento, ed una massa di scorie di fusione."
A questo punto una domanda sorge spontanea. D'onde veniva estratta la materia prima?
Non é improbabile che i minerali provenissero dal territorio di Lula ove si trovano miniere di piombo argentifero.
Inoltre, poco distante, nelle gallerie di S. Chiara, in Guzzurra, si trova del rame, come pure nel territorio di Ughele. Anche nel territorio di Talana vi erano delle miniere di piombo argentifero. A Carros, nella parte in cui furono effettuati gli scavi, pare siano stati rinvenuti dei pani di bronzo con marchio punico. Erano i Cartaginesi a fornire i metalli agli abitanti di Carros per arrestare in comune l'avanzata romana?
L'ipotesi é attendibile, se si pensa che nel villaggio non sono state trovate tracce di epoca romana. Uno scambio commerciale abbastanza attivo doveva esistere senza dubbio, prima con i Fenici poi con i Cartaginesi, perché la relazione della Soprintendenza continua: "A Carros sono stati rinvenuti frammenti di vasi, tegami, askoì, brocchette, alcuni dei quali decorati riccamente, con cerchietti e linee intrecciate a graticcio, e molti noduli d'ambra, il che sta a dimostrare un'attività di scambio molto viva e redditizia".
E tutto questo nella sola fonderia!
Ciò autorizza a pensare che interessanti scoperte potranno farsi quando tutto il villaggio verrà liberato dalla polvere secolare.
Ma si tratta solo di polvere depositatasi con l'andare del tempo? Prima che la polvere arrivasse a coprire le costruzioni, un buon numero di esse non sarebbe almeno in parte crollato?
Qualcuno avanza l'ipotesi che un'ondata di fango e sabbia, abbattutasi d'improvviso sul villaggio, l'abbia in parte sommerso. Finora, non essendo stati fatti degli scavi entro le abitazioni, non si può dire se l'attività degli abitanti sia stata interrotta bruscamente da una improvvisa calamità; ma l'ipotesi non é da escludere, se si pensa alla enorme quantità di oggetti rinvenuti.
In una zona in cui non é facile reperire né trasportare i metalli tanto utili, specie per le armi necessarie a respingere i nemici, non si sarebbe abbandonato tanto bronzo, che neppure i romani avrebbero disdegnato quando, costruendo il vicino villaggio di Ruinas come loro stanziamento, dovettero necessariamente perlustrare l'adiacente villaggio di Carros, probabilmente già abbandonato.
Fu un insolito dilavamento che sommerse parte delle costruzioni a far precipitosamente fuggire i superstiti abitanti?
O fu la massiccia avanzata romana a spingerli ad abbandonare le loro abitazioni piuttosto che arrendersi?
Sappiamo che i Romani nel 179 a. C. inviarono in Sardegna Tiberio Sempronio Gracco, decisi a por fine alla continua guerriglia che gli abitanti dell'interno montagnoso opponevano ai legionari. Feroci cani mastini venivano addestrati a Roma e mandati nell'isola a stanare i Sardi pelliti, indomiti ad ogni giogo.
Certo il console romano dovette fare grande strage di Barbaricini se, celebrando il suo trionfo, al ritorno a Roma, fece incidere in una lapide commemorativa di aver eliminato 80.000 Sardi, la maggior parte fatti schiavi.
Sicuramente la cifra fu gonfiata per porre in evidenza la bravura del console, ma i Sardi che vennero venduti a prezzi irrisori sui mercati romani dovevano essere davvero tanti se meritarono l'appellativo di "Sardi venales".
Continuando l'esplorazione di Carros si individuano presso l'officina alcune costruzioni ellittiche. Non se ne trovano molte nell'architettura nuragica, ne abbiamo però alcuni esempi disseminati in varie parti dell'isola. La tecnica é la stessa delle costruzioni a pianta circolare.
Uno dei più importanti nuraghi a pianta ellittica é quello di Bruncu Màdili, nella Giara di Gesturi. L'interno dell'edificio non é chiaro a causa del crollo delle pietre. Si intravede comunque nel lato minore un'apertura quasi nascosta dai massi franati. Tale apertura, per mezzo di un corridoio, doveva condurre alla cella interna alla quale, finché non verranno fatti opportuni scavi, non si può accedere. Le pareti di tutta la costruzione risultano alquanto inclinate, tendenti a formare una cupola.
Saranno di questo tipo le costruzioni ellittiche di Carros? Per ora la pianta si può seguire soltanto dal contorno esterno, poiché dell'interno nulla potremo sapere finché non verranno effettuati regolari scavi.
Dal contorno esterno si intuisce anche una costruzione rettangolare. Sono queste le più caratteristiche nella architettura nuragica e le meno comuni.
Qualcuno, attraverso questo tipo di costruzione, vuole vedervi i tentativi di un graduale e progressivo passaggio dalla pianta circolare alla quadrata.
Dato l'esiguo numero delle costruzioni rettangolari si può pensare che avessero una specifica funzione e che la forma fosse data per distinguerle nettamente dal resto delle abitazioni.
Erano templi?
Il Taramelli asserisce che il tipo di nuraghe rettangolare non si é affermato perché la sua minore solidità non si prestava alla difesa.
Infatti un edificio rettilineo, non legato con malta, é meno solido, a parità di spessore, di un edificio circolare. Risulta inoltre più difficile la costruzione del soffitto. Bisognava ricorrere ad una copertura in legno, destinata col tempo a crollare, costituendo così un elemento di debolezza per tutto l'edificio. Comunque il "nuraghe rettangolare" va inserito nella fase più recente dell'architettura nuragica.
L'unica costruzione rettangolare esistente a Carros é crollata; non resta che la base. Questo convaliderebbe la teoria del Taramelli. Lo sguardo viene attratto dalle crepe che numerose appaiono sulla parete rocciosa, piccole grotte naturali che un tempo erano adibite a tombe. Solo qualcuna é stata ritrovata intatta. A giudicare dalla dimensione di queste tombe e dalla posizione di qualche scheletro in esse rinvenuto con vari frammenti di ceramica, vien da pensare che anche a Carros venisse praticato il rito del legamento della salma. Qualche scheletro aveva braccia e gambe ripiegate sul petto, esattamente nella posizione che assume il feto.
Evidentemente anche i nostri lontanissimi antenati credevano che la vita non terminasse con la morte del corpo. Nella posizione in cui si sta nel grembo materno si doveva stare nel sepolcro in attesa di rinascere a nuova vita. I protosardi, nelle lunghe ore di ozio, vagando dietro le greggi e osservando la natura nel suo perpetuo divenire, il susseguirsi delle stagioni, il sorgere e il tramontare del sole e degli astri come pure il ciclo vegetativo delle erbe e delle piante, dovevano essere giunti alla conclusione che anche l'uomo possiede una vita ciclica non dissimile da quella vegetale.
Una grotta con due aperture soprastanti e due vani comunicanti, distante circa 300 metri dal villaggio, conteneva parecchie ossa umane calcinate e stratificate.
Si trattava di una fossa comune?
Nella prima parte della grotta furono contati venticinque teschi, nella seconda oltre cinquanta. Nessuna traccia però delle suppellettili che normalmente accompagnavano il defunto. Gli scheletri risultavano sparsi a caso, o ammassati alla rinfusa. Erano tombe o piuttosto rifugi dove gli abitanti cercarono scampo davanti ad una improvvisa calamità, restandone invece prigionieri?
In tal caso le due grotte divennero sepolcri involontari!
Ma a Carros, come del resto in altre parti della Sardegna, si sovrapposero quasi certamente diverse civiltà, ognuna delle quali portò con sé un certo bagaglio di usi, riti, credenze varie. Per questo troviamo, accanto a tombe di giganti, "domus de janas" assai più antiche, ove si continuarono a seppellire i morti, scheletri piegati e scheletri distesi o posti su un fianco. E poiché dei teschi rinvenuti nella grotta non si é fatta la prova del C. 14, non é escluso che siano anteriori a quelli ritrovati nei sepolcri veri e propri.
L'imboccatura della grotta "Sa Oche" é monumentale. Par di vedere la bocca spalancata d'un leone incassata sulla parete della montagna. Addentrandosi nella grotta si incontra un primo laghetto, poi un secondo, infine un terzo, più piccolo e profondo, comunicante con la vicina grotta "Su Bentu", così detta a causa della fortissima corrente che provoca un risucchio d'aria. Per percorrerla é necessario attraversare numerosi laghetti sotterranei.
All'interno della grotta "Sa Oche", giunti presso il primo laghetto, nella parete di destra vi é un tempietto, poco visibile a causa della semioscurità.
A prima vista si pensa ad una curiosa concrezione calcarea, ad un bizzarro gioco dell'acqua che in una grotticella naturale ha abbozzato un piccolo tempio, ma al- l'occhio del visitatore attento non sfugge il lavoro fatto da mano d'uomo.
I blocchi sovrapposti che ne delimitano l'ingresso, col tempo si sono saldati a causa del continuo stillicidio, formando intorno alle pietre un'incrostazione tale da far pensare ad un lavoro naturale. Doveva essere il tempio destinato al culto delle acque. Non essendovi altre riserve d'acqua nella zona, ovviamente le donne di Carros dovevano recarsi alla grotta per attingere l'acqua. Ed il culto alla divinità non poteva avvenire che là, davanti al laghetto.
Non sappiamo se durante questi riti si facessero sacrifici di vite umane, ma sappiamo che il nume tutelare della grotta doveva farsi puntualmente sentire ogni anno, d'inverno, con prolungati sibili e forti boati, che si protraevano per alcuni giorni, finché l'acqua, con inaudita violenza sgorgava dall'ingresso della grotta e, spumeggiando, si riversava nel sottostante alveo.
"Sa Oche" per i nuragici era la voce del nume che manifestava la sua potenza in questo modo?
O avevano capito che la grotta, man mano che si riempiva d'acqua, respingeva l'aria infiltrata nei suoi meandri o la imprigionava nei più riposti nascondigli e che la fuoruscita di questa provocava i sibili che essi udivano?
Certo l'acqua, d'improvviso rigurgitata dalle fauci della montagna, doveva costituire uno spettacolo terrificante e avvincente nello stesso tempo.

Testo di Dolores Turchi

Grotta "Sa Oce" in piena
Grotta "Sa Oce" in piena
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"
Villaggio nuragico "Carros"

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